PARLA DANIELE SACCA’:”HO BATTUTO GINOBILI MA… POSSO SPIEGARVI”
Intervista al Direttore Sportivo della Dierre Reggio Calabria, compagine che ha terminato in vetta il campionato di Serie D.
Daniele Saccà non è un dirigente qualsiasi. Figlio d’arte, il padre Nicola e lo zio Giuseppe erano due colonne della prima grande Viola, ha giocato fino alla serie A1 con i colori nero-arancio giocando con talenti del calibro di Ben Wallace, Brian Oliver, Mike Brown, JJ Larranaga e Manu Ginobili.
Tanti altri lo ricorderanno per le sue incredibili schiacciate che lo possono paragonare senza ombra di dubbio al saltatore più sensazionale di quegli anni, una sorta di Michael Jordan del rione Condera di fine millennio.
Oggi, con umiltà e voglia di fare, dopo aver vinto due scudetti CSI con l’Aleandre, si è dedicato alla dirigenza sportiva pronto a mettere in campo la sua serietà e le sue competenze.
Allarme Coronavirus. Vetta della classifica, campionato dominato, eccezion fatta per una flessione successiva, un doppio innesto di mercato di spessore e poi lo stop per Covid. Come hai vissuto psicologicamente questa situazione?
Tutti noi siamo dispiaciuti per lo stop dei campionati perchè abbiamo passato mesi rinchiusi in palestra a lavorare per raggiungere un obiettivo, ma lo sport passa in secondo piano di fronte ad una tragedia di queste dimensioni. Condivido al 100% la decisione di fermare tutto perchè in questa situazione vanno tutelati anche gli atleti, gli allenatori, gli arbitri, gli ufficiali di campo ed i tifosi. La speranza è che tutto possa ripartire dopo l’estate, ma purtroppo è ancora presto per capire cosa succederà.
Un bilancio della tua prima annata con i colori della Dierre?
Al netto di tutti i problemi di cui sopra, il bilancio è stato senza dubbio positivo. Sono tante le difficoltà per una società appena nata, sia dal punto di vista economico/amministrativo che dal punto di vista gestionale sul campo. Avendo un progetto pluriennale, questa stagione serve a tutti noi come esperienza per una crescita futura.
Parlaci di Roberto Filianoti, cosa lo ha spinto a rientrare nel mondo del basket?
Sicuramente la passione per questo sport. Sono legato al presidente da un’amicizia ventennale, conosco il suo amore per il basket da quando non era ancora maggiorenne. Da tre o quattro anni aveva in testa un progetto e quando si è sentito pronto ha deciso di iniziare questo percorso.
Regole nuove, categorie nuove probabilmente basket nuovo. Quanto è cambiato nell’ultimo ventennio questo gioco?
Gli anni ’90 ed i primi anni del 2000 hanno conosciuto il boom del basket in Italia soprattutto nelle serie minori. Dal 2010 ad oggi si è entrati in un vortice negativo, dovuto principalmente alla crisi economica italiana, che, a cascata, ha colpito anche lo sport. Nello specifico la pallacanestro non è stata aiutata dalle regole dei parametri e dalla distinzione tra under e over.
E’ vero che aiuta determinate società in determinati contesti (quasi sempre da Roma in su) ma è anche vero che per ogni società sana, ce ne sono 4-5 in crisi. In questo modo non si da la possibilità alle piccole realtà di crescere ed il movimento ne risente, basti pensare a quanti giocatori hanno terminato in anticipo la propria carriera. E’ una regola che a mio avviso non ha portato beneficio, soprattutto al sud, e senza dubbio va rivista e magari abolita altrimenti molte società faticheranno ad avere continuità.
In tanti sostengono che per il rilancio del basket bisogna operare nelle scuole e ritrovare i campi ed i tornei all’aperto. Tu hai vinto davvero tanto in ambito di tre contro tre riuscendo ad abbracciare addirittura il compianto Black Mamba. Erano gli anni di un Saccà dominatore negli Slam Dunk contest di tutta Italia. A tuo avviso, dagli anni ’90 perchè c’è stato un calo così drastico di queste competizioni nonostante la volontà della Fip di investire sul 3vs3?
Io ricordo volentieri gli anni ’90 perchè da giovane amante di questo sport avevo tutto il necessario per divertirmi a livello sportivo. Erano anni in cui le palestre erano a disposizione delle società e le grandi multinazionali facevano a gara a chi investiva di più nel basket organizzando tornei estivi: Adidas Streetball in via Marina, Reebok Blacktop a piazza S.Agostino, Nike Playground League sul viale Messina giusto per fare degli esempi. Il calo è anche dovuto ad un cambio radicale della società italiana negli ultimi 15 anni. Adesso molti adolescenti hanno tutti i confort (cellulare, internet, pay-tv, playstation) ed anche a causa di queste distrazioni non hanno lo stimolo e la voglia di passare le ore in palestra o in strada a giocare ai campetti. E’ un problema che senza dubbio va affrontato nelle scuole ed in famiglia.
Hai vinto per due volte lo scudetto del CSI da allenatore con l’Aleandre del Professore Pellicanò. Cosa porti con te di quell’esperienza magica?
Ricorderò sempre con piacere quegli anni perchè eravamo un gruppo di amici che si è voluto mettere in gioco in un campionato diverso da quello a cui eravamo abituati. Basti pensare che fino a qualche mese prima alcuni erano titolari in serie C e in B. Ho avuto la fortuna di guidare dei ragazzi che hanno sempre dato il 100% ad ogni allenamento, nonostante il campionato fosse meno stressante rispetto a quello FIP. E tagliare per due volte la retina a Montecatini resterà un ricordo indelebile per tutti noi.
Come si vede Daniele Saccà nel suo prossimo futuro in ambito basket, hai pensato di crearti un percorso nel coaching
federale o sei diretto verso la tua attuale strada dirigenziale?
A 30 anni ti avrei risposto che mi sarebbe piaciuto fare il coach nei campionati FIP ma, come ben sai, sono contrario alla tessera obbligatoria per gli allenatori e quindi ho cambiato obiettivo. Grazie alla Dierre sto iniziando un percorso dirigenziale e senza dubbio mi piacerebbe continuare su questa strada, anche se ancora sono agli inizi e ho tanto da imparare.
Abbiamo ricordato il “Gracias Manu” ad un anno di distanza. Tu hai avuto l’onore di allenarti giornalmente con il talento di Bahia Blanca. La leggenda narra che, nelle gare di tiro, Manu perse in più di un’occasione contro Giovanni Rugolo e nelle avvincenti gare delle schiacciate viveva una lotta cruenta proprio contro di te. Tutto vero?
Era una prassi alla fine di molti allenamenti, anche perchè lui aveva 21 anni ed io 18 quindi entrambi nel pieno delle forze e dell’entusiasmo. Dovevamo a tutti i costi emulare Vince Carter, che nel ’98 era un rookie nella NBA e faceva cose impensabili rapportate a quegli anni. Ovviamente io ero il giudice unico e mi auto-decretavo vincitore dopo ogni schiacciata, altrimenti avrebbe vinto sempre lui. Rugolo, invece, non sfigurava nelle sessioni contro i migliori tiratori (molte volte vincendo) ed a 17 anni, contro dei professionisti di altissimo livello, non è così scontato e si capiva che avrebbe avuto un’ottima carriera.
Un messaggio per la tua squadra, uno per il coach ed uno per gli atleti. Hai qualcosa da comunicare?
Prima di tutto vorrei sottolineare che sono stato fortunato ad aver creato un gruppo di persone serie, con tanta voglia di allenarsi e di migliorarsi nonostante gli impegni lavorativi di alcuni di loro. Al coach va un ringraziamento particolare perchè si è fidato di me ed ha accettato di far parte del team quando la Dierre era appena nata e sconosciuta, si è dimostrato sempre professionale nonostante le difficoltà fisiologiche presenti al primo anno di vita societario. Ai ragazzi, soprattutto ai più giovani, chiedo di far tesoro degli insegnamenti ricevuti quest’anno e di tenersi sempre in forma in questo periodo di quarantena forzata e di stare sereni che presto ritorneremo a divertirci in palestra.