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OPINIONI PENSIAMOCI SU

Le grandi piazze, i gloriosi e ricchi palcoscenici ed infine la chiamata da una franchigia della NBA sono il sogno e l’obiettivo di ogni giocatore di pallacanestro.

Da un punto di vista agonistico questi desideri ed aspirazioni sono pienamente da giustificare perché il fine ultimo di ogni competizione sportiva (quindi anche del Basket) è quello di arrivare primi e di vincere perché credo che a nessuno piaccia perdere.
Da un punto di vista umano però, quanto sopra abbiamo accennato, potrebbe essere messo in secondo piano perché a chi ha umiltà, pazienza e spirito di sacrificio, interessano poco le accecanti luci dei riflettori.
Chi non ragiona con la logica del “tutto e subito” oppure non si atteggia a STAR di prima grandezza con comportamenti indisponenti dettati forse dalla giovane età, sa che il momento delle soddisfazioni e delle vittorie non tarderebbero ad arrivare se solo si avesse fiducia in chi ci circonda (Michael Jordan ha vinto il suo primo titolo NBA dopo nove anni di militanza nei Chicago Bulls).
Un perfetto sconosciuto di nome Emanuel Ginobili è giunto in riva allo Stretto in punta di piedi accompagnato da un esperto di talenti come Gaetano Gebbia e da molto, parecchio scetticismo; ha creduto nella società Viola ed in un ambizioso quanto difficile e delicato progetto di “pronto ritorno” in Serie A1 così da mettersi subito a lavoro perchè per lui, in quella esperienza, tutto era da conquistare.
Per questo si è buttato anima e corpo su ogni pallone guadagnandosi prima sul campo, con la sua grinta, voglia di emergere e giocate spettacolari, e poi fuori, col suo eterno e fresco sorriso di ragazzo “acqua e sapone” e con la sua straordinaria, quasi irreale disponibilità, i cuori e l’amore di noi appassionati tifosi (e soprattutto tifose!!!) reggini.
Quanto duro lavoro, quanta fatica e, una volta diventato Miglior Giocatore Europeo e Campione d’Italia lontano però da Reggio Calabria, quanta GRATITUDINE nelle sue parole anche verso chi lo ha “svezzato”.
G R A T I T U D I N E !!!!!
Per carità intendiamoci: è giusto cercare altri stimoli perché non occorre giocare in una squadra per l’eternità ma chi si definisce PROFESSIONISTA non deve dimostrarlo solo sul rettangolo di gioco o quando di riceve lo stipendio dai propri dirigenti bensì anche fuori dal campo perché a mio modesto avviso non è eticamente corretto “sputare” nel piatto dove si è mangiato.
Ci vuole stile, quindi essere veri professionisti, anche quando si vuole uscire di scena e cambiare aria e non rispondere agli appelli per presentarsi agli allenamenti, dubitare che la propria firma sia stata falsificata, iniziare la preparazione con un’altra formazione quando ancora si è sotto contratto e rilasciare dichiarazioni al veleno verso chi non gli ha mai fatto mancare niente, ebbene tutto questo N O N E’ P R O F E S S I O N A L E

Carlo Vetere

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